Proiezioni
Venerdì 4 febbraio: ore 21,00
Sabato 5 febbraio: ore 21,00
Domenica 6 febbraio: ore 15,30 – 18,15 – 21,00
Mercoledì 9 febbraio: ore 21,00

N.B.: Capienza 100%. Super Green Pass e mascherina FFP2 obbligatori.

 

 

 

Titolo originale: Nightmare Alley
Nazione: U.S.A., Messico
Anno: 2021
Genere: Drammatico, thriller, noir
Durata: 150 min
Regia: Guillermo Del Toro
Cast: Bradley Cooper, Cate Blanchett, Rooney Mara, Toni Collette
Produzione: Fox Searchlight Pictures
Distribuzione: Walt Disney Pictures Italia

Trama

Un giostraio ambizioso con un talento per manipolare le persone con poche parole ben scelte inizia una relazione con una psichiatra che si rivela essere ancora più pericolosa di lui.

 Trailer

Recensione

La fiera delle illusioni è il ritorno del miglior Guillermo Del Toro

Non ha bisogno di inseguire il proprio stereotipo per girare un film di eccezionale fattura e misterioso fascino, in cui non risparmia niente a nessuno

Se c’è un film che vale la pena di andare a vedere al cinema è La fiera delle illusioni, dal 27 gennaio in sala, non fosse altro che per apprezzare la caratteristica più avvincente dei film di Guillermo Del Toro, al di là delle maschere, dei mostri, del gotico e dell’incredibile maniera che ha di scrivere storie classiche in mondi originali, cioè come ci trascini quasi ogni volta in un posticino che conosce solo lui e a cui solo sembra avere accesso solo lui, quella terra di mezzo in cui il fantastico c’è e non c’è, in cui passiamo parte del tempo a chiederci se siamo di fronte ad un’illusione oppure no, in cui chi vuole credere ha gioco facile e chi non vuole credere è molto tentato. Spesso lo fa mescolando storia e fantasia, illudendoci a lungo che le visioni siano fantasie di bambini, altre volte che i mostri siano solo creature naturali che non conosciamo, in La fiera delle illusioni questo posticino è ancora più accogliente e ampio. A lungo veniamo infatti cullati sul crinale tra l’abile truffa e il desiderio di crederci tantissimo, a quella truffa.
Per fare una cosa del genere ad un pubblico che è molto esperto di storie fantastiche non è necessario solo scrivere bene una sceneggiatura convincente (e dialoghi in cui nessuna parola è casuale), non basta nemmeno solo trovare degli attori convinti, capaci e che abbiano capito perfettamente cosa serva. È necessario anche un controllo pazzesco sull’immagine, perché proprio i colori, il loro cambio, la particolare luce che crea il sole al tramonto, le giornate nuvolose (in questo film pare non ci sia un giorno di sole), i colori sbiaditi dei tendoni del circo ma anche i tipici barattoloni pieni di liquido in cui sta ammollo “qualcosa” e tutto quello che popola i film di Del Toro, servono a tenerci con il piede in due staffe, a farci aggrottare le ciglia e indagare quello che fanno i personaggi per capire di più, con dentro la testa un forte desiderio che sia tutto davvero paranormale. Che poi è il segreto del fascino.
Questa volta addirittura è la trama stessa ad affrontare la passione di Guillermo Del Toro per la terra di mezzo tra vero e fantastico (la storia è tratta da un romanzo già adattato in un film del 1947 dal medesimo titolo). È quella di un uomo con un passato che capiamo non essere piacevole che approda in un circo e lavorando lì impara l’arte del mentalismo, cioè il fingere di leggere nel pensiero ma in realtà utilizzare un set complicato di trucchi per capire cose sul pubblico e così illuderlo di avere poteri o essere in contatto con l’’aldilà. Con questi trucchi fa una scalata e il successo inizia a corromperlo. Semplicissimo e anche molto tagliato con l’accetta, come già La forma dell’acqua e diversi altri film di Del Toro anche La fiera delle illusioni nel suo livello di lettura più evidente è una storia di purezza contro corruzione, di una persona che quando comincia ad avere desidera sempre di più passando sopra i propri princìpi. Semplicissimo.
Più che altrove però questa volta il suo film va a fondo nel rapporto tra affabulazione e desiderio di credere. È una storia che parla di trucchi e illusioni che contemporaneamente ci spiega quei trucchi e quelle illusioni. Il film fa sempre attenzione a mostrarci prima il “prestigio” come fossimo parte del pubblico dei personaggi, facendo credere che sia davvero frutto di paranormale, e poi a spiegarci come è stato ottenuto, svelandone la semplicità e implicitamente esponendo il nostro desiderio di credere all’esistenza del paranormale. Desiderio condiviso da molte vittime di Stan, interpretato da Bradley Cooper con grande raffinatezza e abilità nel puntare su una delle sue caratteristiche principali: la capacità di piacere. Il suo personaggio è uno che piace e proprio perché fa strada, perché quel sorriso e quel viso appaiono familiari, potrebbero vendere di tutto e di fatto lo vende come lui (Bradley Cooper) ogni volta vende a noi (il pubblico) il suo trucco. Ma c’è da fare attenzione anche a quel che invece fa Cate Blanchett, personaggio speculare a lui e dalla medesima interpretazione a strati.
Cinema hollywoodiano al massimo, con un twist. I protagonisti non sono positivi come comanda Hollywood ma persone terribili, non sembrano tali perché si presentano bene, ma tengono esseri umani rinchiusi e trattati come bestie, non esitano di fronte a niente e hanno paura solo della polizia. Ci stanno simpatici ma ad una seconda occhiata sono orribili. Non hanno molto interesse per i sentimenti che sollecitano nel pubblico ingannandolo. Il creatore di illusioni (che poi anche un regista cinematografico lo è) insomma non appartiene ai migliori, anzi è pronto a passare sopra a tutto, pronto a trascurare le conseguenze delle sue azioni pur di avere successo. La fiera delle illusioni ci fa capire lungo tutto un film che in ogni illusione, quindi in ogni rappresentazione e in ogni messa in scena, ci sono cinismo, abuso e crudeltà e solo il nostro desiderio di crederci e la nostra passione per quel che queste cose scatenano in noi ce le fanno accettare. Invece che cantare le lodi del suo lavoro Del Toro ne mostra l’aspetto più brutale.
Passeremo per miliardari con figli morti, personaggi di dubbia morale con un passato che è meglio tenere nascosto, traumi, problemi e opportunismo (più una psichiatra con uno studio all’avanguardia per gli anni ‘40) e un gran finale di eccezionale ricostruzione in cui siamo ormai pratici dei trucchi e possiamo seguire la messa in scena dai due lati, quello di chi la fa e quello di chi la subisce senza perdere in emozione, ma alla fine del film, in una chiusa di incredibile ciclicità, ci sarà chiarissimo che il mondo di chi illude è terribile e se le illusioni (dei film, delle canzoni, dei libri…) non fossero così meravigliose non le potremmo tollerare.

Gabriele Niolawww.wired.it

L’intervista a Guillermo del Toro (da Film Tv)

Venghino signori venghino – Intervista a Guillermo del Toro che voleva farti leggere è questo:

«Non sono più un outsider ma sono ancora uno weirdo», ovvero “uno stramboide”, “un eccentrico”: così si definisce Guillermo del Toro, mentre ci racconta come ha dato vita a quello che, per chi scrive, è il suo miglior film sinora, ossia La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, tratto dal romanzo di William Lindsay Gresham. Essere un regista weirdo, ci spiega, vuol dire «non prendere mai la strada più facile ed essere così ambizioso da fare quello che è un film d’epoca, ma anche completamente fantastico nell’atmosfera».

Ambizioso anche come budget, raddoppiato rispetto a quello di La forma dell’acqua – The Shape of Water, e con un cast interamente di star.
In realtà il budget non è mai abbastanza: anche quando la cifra è alta senti che per avere completa libertà ci sarebbe voluto di più. In questo caso avevo 60 milioni di dollari, ma me ne sarebbero serviti 100. È sempre così; probabilmente se un regista si ritrova ad avere davvero un budget sufficiente sta sbagliando qualcosa nel suo lavoro! Io temo che il successo sia un veleno, quindi ogni volta come film successivo scelgo quello più lontano possibile dal precedente.

Come è nata l’idea di adattare il romanzo?
Ho iniziato a concepire il film negli anni 90, quando io e Ron Perlman stavamo vedendo Il figlio di Giuda e lui disse «c’è un personaggio simile a questo che vorrei interpretare»; si riferiva a Stanton. Non potemmo farlo allora, ma l’idea è rimasta, e io e Kim (Morgan, moglie di Del Toro e co-sceneggiatrice, ndr) volevamo provare a scrivere insieme. Non solo siamo sopravvissuti al lavoro in coppia, ma in era pandemica perdipiù, e in completa armonia, perché condividiamo l’amore per la letteratura e per il cinema. Kim, però, avrebbe voluto un film più lungo: il libro è un affresco, un’esplorazione junghiana del sé, è come se tutte le parti del cervello del protagonista parlassero tra di loro. Per me, invece, era necessario concentrarsi su un aspetto solo, volevo provare a ritrarre Stanton, perché credo che un po’ di lui sia vivo in ognuno di noi, oggi. O che conosciamo qualcuno di simile a lui. Il libro di Gresham appartiene all’epoca che ha poi prodotto la letteratura hard boiled, che esprime lo scontro fra il Sogno americano idealizzato e la realtà brutale della vita urbana: libri come Il giorno della locustaNon si uccidono così anche i cavalli?Signorina cuorinfrantiIl figlio di Giuda, appunto, parlano dell’Incubo americano, piuttosto che del Sogno. Lo stesso vale per la pittura di quell’epoca, riferimento importante per il film: Thomas Hart Benton, Grant Wood, Andrew Wyeth, Edward Hopper.

Bradley Cooper, nei panni di Stanton, dà una delle sue prove migliori: come avete costruito l’ambiguità del suo personaggio?
Bradley ha un’aria da protagonista degli anni 40, c’è sempre un punto interrogativo sulla sua aura di divo; il suo personaggio, Stanton, per me è molto commovente, non deve piacere, ma può essere compreso. Le narrazioni oggi sono spesso semplicistiche nello scindere il bene e il male, ma entrambe le cose convivono in tutti noi, possiamo essere santi e stronzi. Il patto tra me e Bradley era di costruire un personaggio di cui potessimo capire il percorso anche senza approvarne le scelte, non volevo sposare il puro noir, un genere che esprime un forte giudizio morale.

A proposito di noir: la prima trasposizione del romanzo, quella di Goulding del 1947, era un noir classico, di ammonimento per gli americani del Dopoguerra che puntassero troppo in alto. Oggi, invece, come può parlare il romanzo al pubblico contemporaneo?
Ogni noir rappresenta l’epoca in cui è stato realizzato: il disincanto del Dopoguerra con Robert Mitchum, il disincanto del post Vietnam con Elliott Gould… Questo mio film parla di un momento di enorme ansia per il genere umano: un momento in cui le basi della dialettica tra verità e bugia si stanno disintegrando, e in cui vediamo e leggiamo solo le cose che confermano ciò in cui già crediamo. La politica populista, la fame di sempre più click, più follower, più soldi, più fama… Quello che sento, come narratore di storie, è che per molti versi l’apocalisse è già avvenuta e noi stiamo solo rimettendoci in pari. Non ho grande ottimismo per il genere umano. Come dico sempre: per me i mostri più spaventosi sono gli umani, e questo è il mio tentativo di ribadirlo in un modo più controllato, austero ed elegante di quanto abbia mai fatto finora.

Il suo film precedente, La forma dell’acqua, era una storia d’amore. Questo mi pare un film sull’opposto dell’amore: la paura.
Sono vecchio abbastanza da sapere questo: quando odi te stesso chiunque intorno a te è uno specchio di ciò che detesti; mentre quando non odi te stesso, chiunque è una finestra aperta su qualcos’altro. Alle radici di La fiera delle illusioni c’è l’idea che ogni cosa orribile derivi dalla paura; oggi stiamo tutti operando in un sistema chiuso in cui leggiamo, guardiamo, ascoltiamo solo cose che ci rendono ancora più separati dagli altri. Il film, invece, ci chiede di provare a capire l’imperfezione, di perdonarla, di seguire un personaggio che fa cose orrende provando comunque compassione per lui. È proprio lì che si distacca da un noir, e diventa altro. Stanton è vuoto, non può sentire se stesso perché c’è un grosso buco nel suo cuore, e tutti noi stiamo esistendo un po’ allo stesso modo, oggi. Non credo che il film sarà molto popolare, perché è come se reggesse uno specchio davanti a noi.

Prezzi

BIGLIETTO INTERO € 7,00
BIGLIETTO RIDOTTO € 5,00

• BAMBINI da 4 a 12 anni
• ADULTI oltre 60 anni
• PORTATORI DI HANDICAP
• GIORNALISTA, dietro presentazione di tesserino
• MILITARI
• il MERCOLEDÌ (escluso festivi e prefestivi, e nel giorno di uscita di un film): per TUTTI
• il VENERDÌ (escluso festivi e prefestivi) per i soci i possessori di:
a) tessera “Vieni al cinema” con di foto di riconoscimento oppure senza foto purché accompagnata da tessera dell’Ente
b) tessera ACI (Automobile Club d’Italia)
c) card Cultura del comune di Imola
d) tesserati Azione Cattolica (adulti, giovani e giovanissimi)

BIGLIETTO OMAGGIO

ACCOMPAGNATORE DI PORTATORE DI HANDICAP
BAMBINI fino a 3 anni
POSSESSORI DI TESSERA DEGLI ESERCENTI SALA CINEMATOGRAFICA (AGIS-ACEC, AGIS-ANEC, ANEM..)
POSSESSORI DI TESSERA ‘EUROPA CINEMAS’